5 – Per occhi si intendono i raggi e le verità divine che la fede ci propone nascoste e informi nei suoi articoli.
E così è come se dicesse: Oh! volesse il cielo che come chiede il mio desiderio, tu finissi di darmi chiaramente e formatamente svelate nei tuoi articoli quelle verità che in maniera informe e oscura mi mostri nascoste negli articoli della fede!
Dà il nome di occhi a queste verità, perché vi percepisce grandemente la presenza dell’Amato, che le sembra stia sempre a guardarla.
Per questo dice:
che tengo nel mio interno disegnati.
6 – L’anima afferma di averli nel suo interno disegnati vale a dire in sé secondo l’intelletto e la volontà.
Infatti secondo l’intelletto, ella possiede queste verità infuse per fede.
Poiché la loro cognizione non è perfetta, afferma che sono disegnate: come il disegno non è una pittura perfetta, cosi la cognizione della fede non è conoscenza perfetta.
Pertanto le verità infuse della fede stanno nell’anima come in un disegno, mentre quando saranno poste in visione chiara, staranno in lei come in una pittura perfetta e rifinita, secondo quanto dice l’Apostolo: Cum autem venerit quod perfectum est, evacuabitur quod ex parte est ( 1 Cor 13,10 ), che vuol dire: Quando verrà ciò che è perfetto, cioè la chiara visione, finirà ciò che è in parte, ossia la conoscenza per mezzo della fede.
7 – Ma nell’anima di chi ama, oltre a quello della fede, vi è un altro disegno, quello dell’amore, secondo la volontà, in cui quando si è raggiunta l’unione, l’immagine dell’Amato viene riprodotta in maniera cosi viva e perfetta da poter dire con verità che l’Amato vive nell’amante e questi in quello.
È tanta la somiglianza che l’amore produce nella trasformazione delle persone amate, che si può affermare che l’uno è l’altro e ambedue sono una cosa sola.
La ragione va ricercata nel fatto che nell’unione e nella trasformazione di amore l’uno si dà in possesso e si muta nell’altro e cosi ciascuno vive nell’altro, l’uno è l’altro, e tutti e due sono una cosa sola per trasformazione di amore.
A ciò allude S. Paolo quando afferma: Vivo autem, iam non ego, vivit vero in me Christus ( Gal 2,20 ) vale a dire: Vivo io, ma non sono io; è Cristo che vive in me.
Dicendo « vivo io, ma non sono io » vuole far comprendere come, pur vivendo, la vita non era più sua, poiché era trasformato in Cristo e quindi la sua vita era più divina che umana.
Perciò afferma che non era più lui, ma Cristo che viveva in lui.
Secondo questa somiglianza di trasformazione possiamo dunque affermare che la vita di S. Paolo e quella di Cristo, per l’unione di amore, erano un’unica cosa.
8 – Ciò si compirà perfettamente nella vita divina in cielo in tutti coloro che meriteranno di vedersi in Dio: trasformati in Lui vivranno non la propria, ma la vita divina, anche se parrà il contrario, perché la vita di Dio sarà vita loro.
Allora diranno con verità: « Viviamo noi, ma non siamo noi è Dio che vive in noi ».
Anche se ciò può avvenire in questa vita come accadde a S. Paolo, tuttavia non si verifica in maniera perfetta e completa, quantunque anima pervenga a quella trasformazione di amore, quale è il matrimonio spirituale, che è lo stato più sublime che si può raggiungere in terra.
Infatti tutto ciò si può considerare un abbozzo in confronto con l’immagine perfetta della trasformazione gloriosa.
La sorte di chi in vita raggiunge questo abbozzo di trasformazione è veramente felice, perché rallegra grandemente l’Amato.
Perciò, desiderando di essere posto come un disegno nell’anima, il Signore dice alla sposa dei Cantici: Mettimi come segno sul tuo cuore, come segno sul tuo braccio ( Ct 8,6 ).
Il « cuore » è simbolo dell’anima in cui Dio qui in terra si trova come un segno di un disegno di fede; il « braccio » simboleggia la volontà forte nella quale Egli sta come un segno di un disegno dell’amore.
9 – Non voglio tralasciare di parlare almeno brevemente di ciò che avviene all’anima in questo tempo, benché sia tale da non potersi esprimere a parole.
Le sembra che la sostanza corporea e spirituale le si dissecchi per la sete dell’acqua che sgorga dalla fonte viva di Dio, sete simile a quella sofferta da David quando dice:
Come il cervo desidera la sorgente dell’acqua, così l’anima mia desidera te, Dio mio.
La mia anima è assetata di Dio, fonte viva: quando verrò e apparirò dinanzi alla faccia del Signore? ( Sal 42,2-3 ).
Essa è tanto angustiata da questa sete che, come fecero i forti di David, non si permetterebbe di irrompere in mezzo ai Filistei per riempire di acqua il suo vaso nelle cisterne di Bethlehem ( 1 Cr 11,18 ), cioè di Cristo.
Infatti sarebbe pronta a disprezzare tutte le difficoltà del mondo, le furie del demonio e le pene dell’inferno pur di immergersi in questa fonte abissale di amore.
A tale proposito si legge nel Cantico: L’amore è forte come la morte e la sua tenacia è dura come l’inferno ( Ct 8,6 ).
Non si può credere quanto siano veementi le pene ansiose che l’anima soffre quando si vede prossima a gustare quel bene che invece le viene negato.
Infatti quanto più si accorge di essere vicina e, per dire cosi, vede alla porta ciò che desidera, che invece le viene negato, tanto maggior pena e tormento prova.
A tal proposito in senso spirituale Giobbe dice: Prima di mangiare, sospiro e il ruggito dell’anima mia è come la piena delle acque ( Gb 3,24 ), a causa dell’avidità del cibo, per il quale qui si intende Dio, poiché la pena per un cibo è proporzionale all’avidità e alla conoscenza che se ne ha.
San Giovanni della Croce (Cantico Spirituale)
Dio è il mio cielo sulla terra. Vivo con Lui e, anche andando a spasso, ambedue conversiamo senza che alcuno ci sorprenda ne possa interromperci. Se tu Lo conoscessi abbastanza, Lo ameresti! Se riuscissi a passare con Lui un’ora di orazione, potresti sapere che cosa sia il Cielo sulla terra!
S. Teresa di Los Andes
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